POETICA

L’opera di Cesare Vergati è pervasa da una incessante fluidità visionaria. Il lettore viene invitato ad abbandonarsi alla pregnanza musicale delle parole, all’afflato poetico, alla vita teatrale dei poemi: a leggere il testo ad alta voce, coinvolto come in una atmosfera di rêve éveillé. Una scrittura che nasce da un amalgama letterario fatto di tradizione antica e di espressiva dirompente forma moderna e contemporanea; che si serve di una struttura rigorosa e molto duttile al medesimo tempo. Lo stile singolare mette in risalto l’unione tra coerenza di pensiero e estro fantastico, immaginifico. Un poetare alchemico di suoni, di immagini, di fantasie, di simboli, di allegorie e di visioni universali; in uso di più figure retoriche, in modo particolare l’ellissi. Ogni parola ha un suo personale mondo poetico, narrativo e insieme fa parte indissolubile di un complesso letterario originario. Le opere mettono in evidenza una punteggiatura inconsueta, non “ convenzionale “, tale in forma di congiunzioni, di preposizioni, di avverbi ecc..; il senso di accrescere la musicalità continua delle parole, di dare naturale intensità alla narrazione. Un linguaggio dall’impianto onirico, per scritti a natura essenzialmente visionaria; così i testi si nutrono incessantemente di elementi atemporali, in cui il passato, il presente ed il futuro sono fluenti a tal segno da compenetrarsi reciprocamente e continuamente. Scrittura innovativa, dal tono magico, intensamente  evocativo, composta da archetipi antichi e suggestioni provenienti dalla trasformazione progressiva nobile e “popolare“ della lingua. La Trilogia dell’Eco prende in esame archetipi universali: eros e thanatos. Il Trittico d’ombra rivolge l’attenzione a tre miti occidentali: Faust, Don Giovanni, Falstaff. L’interpretazione annuncia il diritto dell’individuo a vivere secondo la propria visione del mondo. Rammenta quella zona d’ineludibile oscurità prodotta da corpi opachi; personaggi che portano in sé sordo rancore, forte malanimo e il fermo proposito di colpire a morte l’avversario, avvertito come minaccia. Vi è nel trattamento poetico delle tre figure mitologiche un aspetto volutamente grottesco, in un contesto pienamente fantastico, ed un aspetto tragico, atto a rappresentare una lotta aspra, che risalta per la sua crudezza. In ambito di finzione i tre personaggi inermi tentano di salvaguardare la profonda loro inalterabile dignità.Il trittico definisce le tre componenti essenziali della vita d’uomo: l’arte, l’amore e il cibo in qualità di teatro di vita e/o teatro di morte, secondo il punto di vista dell’attore e/o dello spettatore.Nel Triangolo d’attesa Diòcreme, anagramma di mediocre, si configura quale medio, uomo di mezzo, uomo di mezza tacca; assapora la felicità, e la vive intensamente, con profonda voluttà, solo in ambiente intimamente umido. Ha il bisogno assoluto d’umido opulento per ogni dove, per ogni tempo. È alla ricerca disperata di oggetti, di persone, di animali, di vegetali, di pensieri, di vissuti permeati d’umidità. Vive inizialmente in una rocca diroccata, quindi in una barca immobile, in continuo beccheggio, infine su una nubecola: in una sorta di viaggio affatto doloroso. L’umido, secondo l’autore, rappresenta la mediocrità. Diòcreme si conosce protagonista ossessivo, bislacco, anodino, in piena angoscia poiché si è dato il compito imprescindibile di combattere i non mediocri. Diòcreme, nato sotto cattiva stella, sembrerebbe dominato da volontà d’impotenza, dal gusto come macabro dell’angustia, dal sentire l’infinitudine del suo malessere, del suo insaziabile voluto desiderio di stagnazione: in perenne soddisfazione di sé e nel contempo in pervicace dolore a causa di certa frustrazione, d’imprescindibile sofferenza. Il Trifoglio d’inquietudine canta in forma poema tre diverse visioni del mondo. Prima voce: visione del mondo a fervido sentimento, la necessità; infinitudine/ Seconda voce: visione del mondo a ragione, il caso, il percorso; finitudine/Terza voce: visione del mondo in sospeso, né infinitudine, né finitudine; noncuranza. Ogni visione ha il suo cruccio; ha il suo intimo di consolazione. Prima voce : Cèdro (anagramma di credo) vive in una carrozza d’avorio, eburnea dimora quadrata: trentatré metri per ogni lato, fatta di materia ossea in compagnia di un salice piangente. Ama sostare su bianca predella il fine di osservare – immobile – quel che accade nel mondo. Vive pervaso da un immenso senso sconfinato, fervido, petitio principii, che vorrebbe inizialmente imporre quale unico vero indefettibile universale sentimento: erga omnes. Sgomento e in biasimo fa incontri con diversi personaggi dal modo d’essere diverso, che hanno altra visione del mondo. Scende di predella il fine di osservare i diversi sconosciuti vasti mondi. Rimane a lungo incerto se tornare su predella ovvero andare scapolo, libero: per il mondo. Alfine avverte sua trasfigurazione: da immenso senso sconfinato a senso per sé, autonomo; finalmente in percezione di cose e uomini per qualità: la farina del suo sacco. Va per il mondo in compagnia di mistero. Prende quindi consapevolezza di quanto vano sia il voler svelare la natura insvelabile del mistero. Intende le gocce d’acqua innumeri, gli innumeri granelli di sabbia, gli astri innumeri. Infine si risolve a intraprendere un percorso personale, singolare. Ora vogatore, scapolo, libero, naviga in tutte le direzioni. Ogni trilogia ha una sua intrinseca unità, pronta ad esaltare la propria dimensione poetica, teatrale, musicale: mette in rilievo la complessità, le aporie chissà insolubili, le contraddizioni d’uomo e d’uomini, suggerisce in ultima analisi di compiere una navigazione più ampia intorno all’uomo ed un inabissamento più intimo dentro l’uomo.

I disegni sono opera di Bimba Selvaggia Landmann. Per maggiori informazioni visitare il suo sito web ufficale : https://www.bimbalandmann.com


Scrittore Poeta

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